Marcello Simeone, ai confini sinestetici dell’arte
di Efisio Carbone
La musica tradizionale è basata su esagrammi. Proviene dalle bibbie, da epidemie e carestie, e gira intorno alla morte. (Bob Dylan)
Marcello Simeone guarda all’arte con atteggiamento eretico, e forse proprio per questo nei suoi lavori troviamo una grandissima spiritualità. Lo fa portando il suo pensiero ai confini della sperimentazione creando macchine perfette, scultoree, che sembrano nascondere meccanismi automatici, orologi meccanici dagli ingranaggi sognati e appuntati su fogli volanti in un particolare stato di grazia. Tali macchine euristiche svelano e nascondono su piani differenti sensazioni tattili e sonore, elementi ritmici pulsanti di colore e luce. Dalle calde lane protagoniste della fiber-art internazionale, alle cerniere erotiche, scandalose, intrecciate, usate da Warhol nel 1971 per il leggendario album dei Rolling Stones “Stick Fingers”, ai bossoli recuperati per luminosissime opere che come gli artisti Daria Marchenko e il colombiano Federico Uribe denunciano le violenze della guerra nel mondo. Le sofisticate composizioni spesso si arricchiscono di arabeschi voluttuosi, un inno al piacere che assume forme decorative a racemi simili ad arcate sonore di sapore debussiano.
La produzione di Marcello Simeone si ramifica in serie, o meglio variazioni, termine musicale recuperato dalle arti visive agli albori dell’astrattismo, quando l’esigenza di rappresentazione dei sentimenti puri trovò nella musica il linguaggio universale più adatto. Alla musica e al suo rapporto sin-estetico con l’arte guarda l’artista, provetto pianista che legge nel colore il suono e nella luce il ritmo. Non a caso egli realizzò una formidabile serie di lavori dedicati alle Variazioni Goldberg di Bach trovando nella forma di un algoritmo sviluppato sulle prime battute del capolavoro bachiano il “primum mobile” della creazione assoluta. Lo stesso concetto di variazione assume il significato di metamorfosi, così come Philip Glass lo intende nel suo magnifico lavoro per pianoforte del 1988: la transustanziazione della forma, pur conservando una cellula armonica primigenia inalterata, esplora le possibilità infinite della composizione in un intreccio costante e antitetico di matematica e sentimento.
Marcello Simeone sembra fondamentalmente interessato al rapporto tra materia e acustica e quanto uno influenzi e modifichi il mondo dell’altro. Ecco quindi il perché dell’utilizzo di materiali così differenti per “suono” e i loro accostamenti: lane con vetri e specchi, metalli e gomme, da cui scaturiscono forme geometriche misteriose somiglianti alle figure di Chladni, affascinante sperimentazione di un fisico tedesco che alle soglie del XIX secolo scoprì gli effetti delle vibrazioni su lastre di vetro ricoperte di sabbia impalpabile. Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima, scrisse George Bernard Shaw, quasi avesse trovato una singolare relazione tra elementi fonte d’ispirazione di molti artisti contemporanei.
Altra peculiarità del nostro artista è la convinzione che ironia e provocazione siano stimoli importanti e che l’arte debba necessariamente militare nel mondo dissacrante e dissacratorio della contestazione per accendere nel pubblico salutari riflessioni. L’esempio più ingegnoso è il progetto Occupy wc il quale prevede un’invasione dei bagni di musei, teatri, aeroporti e altri luoghi pubblici con opere d’arte allo scopo di sottolineare la forma elitaria e inaccessibile che la stessa assume generata e divorata dall’establishment spesso ipocritamente combattuto. Come dice Banksy: “L’arte deve confortare il disturbato e disturbare il comodo.”